Rapporto Svimez, dietro i numeri quale realtà?

di ENRICO GAMBARDELLA * - Il rapporto Svimez 2017 sull’economia del Mezzogiorno racconta un Sud con parametri in crescita, in alcuni casi anche migliori del Nord, per quel che riguarda la Campania e la Basilicata, ma dietro i dati positivi emerge una realtà economica e sociale ben più complessa che necessita di un'attenta lettura e interpretazione per non incappare in analisi parziali o, peggio, del tutto fuorvianti. La realtà, dietro i numeri, del Sud e quindi della Basilicata è che vi è una strutturata spirale fatta di bassi salari, bassa produttività e bassa competitività, che crea sostanzialmente ridotta accumulazione e minore benessere in maniera permanente. La Banca d'Italia prevede che l'Italia recupererà i livelli pre crisi nel 2019: ammettendo che il Mezzogiorno prosegua coi ritmi di crescita attuali, secondo le previsioni della Svimez recupererà i suoi livelli pre crisi soltanto nel 2028, dieci anni dopo. Si configurerebbe così un ventennio di "crescita zero" che farebbe seguito alla stagnazione dei primi anni Duemila, con conseguenze drammatiche sul piano economico, sociale e demografico.

Perché questa crescita zero porta con sé il cattivo lavoro. Al Sud e in Basilicata si registra un lavoro povero e segregante, un lavoro che innanzitutto esclude i giovani fino a 35 anni e le donne: Infatti al Sud il tasso di occupazione nella fascia 15-24 anni nel 2016 è risultato fermo al 28%, un dato senza paragoni in Europa. A riprova di ciò è il fatto che nell’ultimo biennio sono cresciuti soprattutto gli occupati anziani, anche a seguito di incentivi e dell'allungamento dell’età pensionabile, e il lavoro a tempo parziale. Il problema è non si riesce a invertire questo preoccupante quadro della struttura e della qualità dell'occupazione.

Altro discorso da affrontare è l’aumento del part time che non deriva dalla libera scelta individuale ma è interamente ascrivibile al part time "involontario", cioè all’accettazione di contratti a tempo parziale in carenza di posti lavoro a tempo pieno. Il lavoro povero - per chi ha un'occupazione quale che sia -  e l’assenza di lavoro - per gli altri – su cui noi sindacati dobbiamo assolutamente e responsabilmente intraprendere un’azione politica e strategica, determinano una crescita allarmante dei tassi di povertà, fenomeno al quale né il welfare statale né quello regionale riescono a dare risposte adeguate per almeno due ordini di motivi: il grande numero dei potenziali destinatari delle misure assistenziali, quale in reddito minimo d'inserimento; la mancanza nell regioni meridionali di quel terzo settore autonomo e virtuoso in grado di supplire alle carenze organizzative e di fondi di natura politico-amministrativa.
Un’azione da mettere in campo immediatamente sarebbe una forte sensibilizzazione delle fondazioni di matrice bancaria nel finanziamento di iniziative sociali; lo stesso si dica per le fondazioni di alcune grandi imprese presenti sul nostro territorio, riducendo gli interventi nel settore del marketing territoriale in considerazione del criterio dell’emergenza sociale. Nelle regioni meridionali il rischio di povertà risulta triplo rispetto a quello del resto del Paese e riflette la condizione primaria di insufficiente domanda di lavoro e una più modesta capacità competitiva del sistema economico.

Questo perché, come sostiene la Svimez, all’indomani di una delle crisi economiche e sociali più profonde e gravi dell’era moderna, il Mezzogiorno si appresta ad affrontare il riavvio di un processo di sviluppo in condizioni più svantaggiate di quelle dell’immediato dopoguerra, per l'emersione di un nuovo dualismo, quello demografico: una popolazione in rapido invecchiamento in un'area ancora caratterizzata da un forte deficit di capitale fisso sociale potrebbe innescare un pericoloso circolo vizioso di maggiori oneri sociali, minore competitività del sistema economico, minori redditi e capacità di accumulazione e crescente dipendenza dall'esterno. Il Sud non è più oggi un’area giovane né tanto meno il serbatoio di nascite del resto del Paese, come nel dopoguerra; esso va assumendo piuttosto tutte le caratteristiche demografiche negative di un'area sviluppata e opulenta, come la scelta di fare meno figli, senza peraltro esserlo mai stata.

In base alle tendenze in atto, mentre la dinamica demografica negativa del Centro-Nord è compensata dalle immigrazioni dall’estero, da quelle dal Sud e da una ripresa della natalità, il Mezzogiorno resterà terra d’emigrazione "selettiva" - specialmente di qualità: ossia giovani e laureati su cui le famiglie hanno molto investito - con scarse capacità di attrarre immigrati dall’estero, anche qui immigrazione che porta valore aggiunto e sarà interessato da un progressivo ulteriore calo delle nascite. Degno di nota è il cruciale dato del settore agricolo rispetto alla produzione. Il valore aggiunto nel settore agricolo è diminuito, nel 2016, al Sud del 4,5%, che fa seguito all’eccezionale crescita registrata nel 2015 (+7,5%). Nel Centro-Nord la produzione agricola è invece aumentata (+2%), sebbene a un ritmo inferiore del 2015 (+2,5%). Dall’inizio della crisi il valore aggiunto in questo settore è diminuito cumulativamente nel Mezzogiorno del 9,3%, mentre è notevolmente aumentato nel resto del Paese (+9,9%).

Questo dato è collegato in Basilicata alla progressiva riduzione di terreno destinato a uso agricolo, mentre cresce quello destinato a pale eoliche e pannelli fotovoltaici, e al calo demografico; due tendenze che combinandosi producono processi di desertificazione ambientale e sociale, mentre l’agricoltura è settore da sostenere con investimenti cospicui e mirati perché preserva il territorio, l’ identità agroalimentare dei luoghi e gli insediamenti umani. Gli agricoltori sono le sentinelle del territorio e alcune eccellenze gastronomiche lucane e produzioni di qualità rischiano di essere solo testimonianza a fronte di una potenziale domanda con grandi numeri. Infatti i dati ci dicono che è proprio l’agricoltura il settore che fa registrare il maggior aumento dell’occupazione nelle regioni del Mezzogiorno, con la Basilicata che fa segnare un significativo +5,5%,  a dimostrazione delle grandi potenzialità del settore primario, sia da un punto di vista economico, sia – ci preme evidenziarlo – dal punto di vista sociale in termini di radicamento demografico e tutela dell’ambiente, due priorità assolute per la nostra regione.

* Segretario generale della Cisl Basilicata