Whistleblowing, una norma di civiltà a tutela del lavoratore

di Gennarino Macchia* - Il prossimo 1° gennaio entrerà in vigore la legge, votata a stragrande maggioranza, sul cosiddetto whistleblowing, vale a dire la segnalazione di attività illecite nell'amministrazione pubblica o in aziende private da parte del dipendente che ne sia venuto a conoscenza per ragioni di lavoro. La norma mira soprattutto alla tutela dei lavoratori. Il whistleblower è il lavoratore che, durante l’attività rileva una possibile frode, un pericolo o un altro serio rischio che possa danneggiare clienti, colleghi, azionisti, il pubblico o la stessa reputazione dell’ente, e per questo decide di segnalarla. L’Italia arriva in forte ritardo, basti pensare che gli Stati Uniti hanno disciplinato la materia nel lontano 1989, dopo un iter parlamentare durato circa 7 anni. Sicuramente è una legge che andrebbe migliorata. Tra i suoi punti deboli credo che ci sia la mancanza di un fondo di tutela che supporti i segnalanti nelle spese legali, così come non è prevista una protezione totale della loro identità, che potrebbe essere svelata durante il procedimento giudiziario.

In effetti, come evidenziato dall’authority anticorruzione, può provocare conseguenze negative per il segnalante, come l’emarginazione professionale, la perdita dei mezzi di sussistenza con conseguenti possibili danni finanziari e di reputazione; inoltre non è da sottovalutare la possibilità che i segnalanti rischino una “stigmatizzazione che spesso li accompagna per il resto della loro vita lavorativa”. Il provvedimento introduce, come giusta causa di rivelazione del segreto d'ufficio, professionale, scientifico e industriale, nonché di violazione dell'obbligo di fedeltà all'imprenditore, il perseguimento, da parte del dipendente che segnali illeciti, dell'interesse all'integrità delle amministrazioni, alla prevenzione e alla repressione delle malversazioni.

Il licenziamento ritorsivo o discriminatorio del soggetto segnalante è nullo. Stessa cosa dicasi per mutamento di mansioni, sanzioni disciplinari o trasferimenti nei confronti dello stesso. È onere del datore di lavoro dimostrare che tali misure sono fondate su ragioni estranee alla segnalazione stessa. Tutto questo ha delle profonde ricadute all’interno dei luoghi di lavoro. Basti pensare, ad esempio, che questa normativa potrebbe far emergere nella pubblica amministrazione fenomeni corruttivi o di abusi (furbetti del cartellino, tangenti, etc.), mentre nel settore bancario, oggi al centro del ciclone, l’esistenza di una norma del genere avrebbe permesso di denunciare anzitempo le pressioni commerciali operati dalle banche sui dipendenti con l’obiettivo di trasferire sulla clientela le nefaste conseguenze di scelte scellerate da parte di un management interessato a fornire credito solo a soggetti di elevato lignaggio e di incerta credibilità creditizia.

Questa normativa dovrebbe consentire ai lavoratori di poter denunciare queste situazioni in condizioni di migliore tutela tenendo conto che le pressioni commerciali non si sono ridotte recentemente a quanto risulta alle organizzazioni sindacali di categoria. Nella nostra regione, in particolare, la norma sul whistleblowing avrebbe contribuito ad impedire la scomparsa di un patrimonio di diverse decine di milioni di euro delle famiglie lucane e, allo stesso tempo, avrebbe consentito di far emergere molto prima i casi legati alla gestione dei rifiuti o all’estrazione del petrolio, con le loro ricadute sulla salute dei cittadini. Al sindacato viene lanciata un’altra sfida: da confessore dei lavoratori e molto spesso promotore di denunce nei confronti di quelle aziende violatrici degli interessi collettivi a soggetto che deve diffondere tra i suoi rappresentati tutte le opportunità di questa norma quale strumento efficace per canalizzare in maniera costruttiva la domanda di legalità e di tutela dell’interesse pubblico.

*Segretario generale aggiunto della Cisl Basilicata