Omelia di mons. Antonio Giuseppe Caiazzo nella II Domenica di Pasqua 2019

MATERA - Cristo è risorto! E’ veramente risorto! Con queste parole ci siamo lasciati la Domenica di Pasqua, dopo quaranta giorni di quaresima durante i quali abbiamo contemplato la sofferenza e la morte nelle sue diverse sfaccettature. Con queste parole abbiamo iniziato questo nuovo percorso di Pasqua che durerà cinquanta giorni, fino a Pentecoste.

Da un tempo di contemplazione della sofferenza, della tristezza, dell’angoscia, della penitenza, dei tradimenti, della morte e del grido soffocato della morte, alla gioia immensa della vittoria della vita sulla morte. E’ la vittoria dell’amore più forte del sangue versato, più potente delle bombe che procurano stragi di uomini, donne e bambini innocenti in preghiera. E’ il profumo di Cristo risorto che sconfigge il fetore dell’odio religioso. Sono i giorni della gioia da condividere, da trasmettere per contatto e non con parole, con gesti concreti fino a far entrare la propria carne in quella dell’altro, come il sangue che dalle proprie vene entra in quelle di un fratello, di una sorella, di un giovane, di un bambino che non conosco: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Così dice Gesù a Tommaso.

A voi che fate parte della Federazione Italiana Associazioni Donatori di Sangue, convenuti qui da tutta Italia, nella nostra città di Matera, do il benvenuto salutandovi con le stesse parole di Gesù: “pace a voi!”

Tra le figure degli apostoli quella che mi affascina maggiormente è proprio quella di Tommaso: presentato erroneamente come il discepolo che non crede. Invece c’è la storia di ogni uomo, di ogni cristiano che vive la tensione verso l’uomo, verso Dio. Mi spiego.

Tommaso è l’unico discepolo che non è presente il primo giorno dopo il sabato, quindi la Domenica, giorno del Signore, quando Gesù appare ai discepoli, si mostra vivo e parla con loro. E’ l’unico che è stato capace di affrontare il mondo ostile fuori del cenacolo che avevano fatto chiudere nelle loro paure tutti gli altri apostoli. Probabilmente alla ricerca di risposte al dolore per la morte così tragica del proprio maestro. Tommaso non accetta di lasciarsi consumare da questo sentimento che chiude a qualsiasi speranza rimanendo nel buio della morte per chi ormai non c’è più. Tommaso ha bisogno di capire, di rielaborare ogni cosa senza piangersi addosso. E’ colui che non accetta di lasciarsi scacciare da una delusione così immensa. E’ troppo grande la ferita che ha dentro, così come d’altronde lo è per tutti gli altri discepoli. C’è una differenza: vuole allontanarsi da quel chiuso dove non si respira più vita ma solo tragicità, fatalità, crudeltà. Sente che ha bisogno di respirare e ritornare a gustare la bellezza della vita così come quando il maestro era accanto a tutti loro.

Tommaso quando rientra gli apostoli gli dicono: «Abbiamo visto il Signore!». Risponde con una frase che ci fa pensare seriamente: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo». Ha ragione a dire queste parole. In quello che dicono i suoi fratelli di fede e compagni di viaggio non avverte credibilità. Una Chiesa spenta che, nonostante annunci la Pasqua, la vittoria di Cristo sulla morte, vive chiusa e arroccata fra quelle quattro mura, incapace di testimoniare la gioia del Risorto. Tommaso contesta non la possibilità che Gesù possa essere risorto realmente ma che quella Chiesa riunita non è credibile perché immobile, rassegnata e ripiegata su se stessa. E’ una Chiesa formata da uomini, consacrati e non, che non trasmette vita, gioia, incapace di far circolare l’amore come una trasfusione di sangue che esce dalle proprie vene ed entra in quelle di un altro. Tra le loro parole e le loro azioni non trova coerenza. Tommaso non accetta questo tipo di Chiesa. Vuole toccare con mano entrando nelle ferite del Risorto. Quel Risorto che i suoi amici di fede non riescono a fargli né vedere, né toccare.

Tommaso esce di nuovo da quel Cenacolo, continuando la sua ricerca, ma non abbandona la Chiesa perché i componenti della stessa lo hanno deluso (Papa, Vescovi, Preti, Religiosi, Laici…). Otto giorni dopo lo troviamo di nuovo in quella Chiesa che lui contesta e lo delude fortemente. Tommaso ha capito più degli altri che non è scappando dalla Chiesa, per quante ragioni si possano avere, che si è credibili o veri. Otto giorni dopo, nel giorno della Pasqua settimanale, la Domenica, è con i fratelli di fede a condividere la preghiera. Lui ha bisogno di loro, nonostante tutto, e loro hanno bisogno di Tommaso. E’ esattamente in questo stato di preghiera che crea relazione, comunione, fraternità, che Gesù si manifesta come prima, annunciando la pace e portando la pace, lui che è la pace. Questa scena è bellissima. Gesù si rivolge a Tommaso non per rimproverarlo ma per esaudire un suo desiderio ben preciso. La Risurrezione non è un racconto ma un’esperienza vissuta in prima persona dove il contatto con Gesù vittorioso non è virtuale ma fisico. C’è un contatto che richiede coraggio nel liberarsi totalmente dalle proprie paure e lasciarsi conquistare da quelle ferite dalle quali il sangue è uscito copioso a favore dell’umanità. C’è un contatto che crea relazione d’amore perché dal proprio corpo esca la stessa vita donata gratuitamente a favore degli altri. Alla luce di queste considerazioni possiamo rileggere meglio quanto dice Gesù: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Credente e credibile è colui che fa passare la vita donata del Cristo attraverso la propria che diventa trasmissione del sacramento di salvezza.

Tommaso, infine, è l’unico apostolo che fa una solenne professione di fede: «Mio Signore e mio Dio!». Riconosce che Gesù è veramente il suo Signore, il suo Dio. Il suo unico scopo, ormai, è quello di vivere in lui, per lui e con lui. Non è forse questa la missione di ogni cristiano? E’ questa l’immagine vera di una Chiesa che non rimane arroccata su se stessa ma vive quotidianamente la tensione verso chi ha sete di vita, vuol respirare amore donato, desidera condividere il pane della fraternità, così come quello che spezzeremo fra poco: Cristo, cibo di vita eterna. Gesù, al termine di questo stupendo incontro che cambia per sempre la vita di Tommaso dice a tutti noi: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!». Non è un rimprovero di Gesù ma un invito ad aprirsi alla speranza: lui sarà con noi, per sempre. Di questo ne è certo chi con la vita saprà dire: “Signore mio e Dio mio”.

Anche a voi, carissimi della FIDAS, il Signore si è mostrato risorto come a Tommaso, invitandovi a mettere nelle sue piaghe le vostre mani. Da queste piaghe fuoriesce la vittoria della vita sulle potenze del male, la linfa vitale di quel sangue in continua circolazione riaprendo la speranza e la forza nella vita. A questa fede trasmessa per contatto e non con parole, come dice la prima lettura, “sempre più, però, venivano aggiunti credenti al Signore, una moltitudine di uomini e di donne, tanto che portavano gli ammalati persino nelle piazze, ponendoli su lettucci e barelle, perché, quando Pietro passava, almeno la sua ombra coprisse qualcuno di loro. Anche la folla delle città vicine a Gerusalemme accorreva, portando malati e persone tormentate da spiriti impuri, e tutti venivano guariti”.

Risurrezione passa attraverso il contatto personale che ognuno di noi ha con il Cristo facendosi compagni di viaggio di quanti ogni giorno hanno bisogno di ricevere vita dalle nostre vite. E’ un flusso d’amore che circola e abbraccia le membra doloranti di un’umanità bisognosa di sentire il calore umano, l’affetto, la condivisione, l’accoglienza, la fraternità che rompe le barriere e gli steccati, continuando a costruire ponti d’incontro tra le diverse culture, religioni, razze.

A noi è affidata la stessa missione che il Padre affidò al Figlio. E’ quanto Gesù dice agli apostoli: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi».

Che il Signore possa servirsi di ognuno di noi! Il suo sangue versato per salvare l’umanità possa continuare a sgorgare copioso dalle nostre vene per dare vita a chi ha bisogno di riaccendere la speranza della Risurrezione.

Così sia.

† Don Pino