L’allenatore ad Auschwitz, il libro sulla vita di Árpád Weisz

PIERO LADISA – La barbarie naziste, che ha portato lo sterminio di milioni di persone nei campi di concentramento, non ha risparmiato nessuno: neanche validi professionisti come Árpád Weisz, allenatore di calcio che ha trovato la morte ad Auschwitz il 31 gennaio del 1944. Recentemente sull’ungherese di origini ebraiche è uscito un interessante volumetto che ne ripercorre la vita e la carriera.

L’allenatore ad Auschwitz (Interlinea, pp 128, 2020), scritto dallo storico e saggista Giovanni A. Cerutti, ci riporta così indietro nel tempo. Agli albori del calcio italiano del quale Weisz ne è stato il primo interprete della tattica, intesa nella sua concezione più pura e profonda. L'esperienza professionale in panchina ha riservato grandi soddisfazioni all’ungherese, rispetto a quella da calciatore che dovette anzitempo concludere a causa di un infortunio, tra le quali spiccano tre scudetti vinti: uno con l’Inter, dove lanciò un certo Giuseppe Meazza, e due con il Bologna che passò alla storia come la squadra che tremare il mondo fa. 

Weisz è passato anche dalla Puglia, venendo ingaggiato dal Bari nella stagione 1931-32, dove salvò i Galletti vincendo la spareggio contro il Brescia disputato a Bologna per la permanenza in Serie A. Weisz ha lasciato un ottimo ricordo nel capoluogo pugliese, come si evince dall’intitolazione di una strada in suo nome avvenuta nel 2014. Il rapporto con l’Italia si chiude purtroppo con l’introduzione delle leggi razziali. Emigra dapprima in Francia per poi stabilirsi definitivamente nei Paesi Bassi, dove allena il Dordrecht ottenendo un miracoloso quarto posto: ancora oggi è il migliore risultato centrato dalla squadra olandese. 

Per Weisz purtroppo è l’ultima panchina, prima del grande esodo che lo condurrà alla morte insieme a tutta la sua famiglia nel lager di Auschwitz dove, come tanti altri, verrà privato anche della dignità.

A soli 47 anni il mondo del calcio resta così privo di uno dei suoi migliori interpreti della panchina. Senza la Shoah avrebbe quasi certamente potuto continuare a scrivere altre importanti pagine, potendo portare nuove innovazioni tecnico-tattiche. Soprattutto in Italia, paese dove tuttora conserva il record di allenatore più giovane ad avere vinto un campionato.