MATERA - Carissimi, mi porto dentro un bellissimo ricordo della notte di Pasqua. Quando ero bambino, al suono delle campane che annunciavano la Risurrezione, la mia cara mamma svegliava noi figli per annunciarci che Gesù Cristo era risorto! Ma non bastava questo brusco risveglio: batteva due coperchi delle pentole tra loro, in armonia con le campane girando per tutta la casa!
Una teologia spicciola, casalinga, alla portata di tutti! Piccoli riti che hanno trasmesso a me, alle mie sorelle, alla mia generazione il senso della Risurrezione di Gesù. Eppure mamma aveva studiato fino alla quinta elementare e papà era analfabeta.
Benedette mamme che non avevano il tempo nemmeno per lamentarsi per le tante cose che ancora in casa non c’erano, incominciando dall’acqua corrente, dall’energia elettrica che spesso e volentieri mancava, per cui si ricorreva al lume a petrolio!
Si, benedette mamme, che impregnate del sacro, parlavano con la danza, il suono, il canto che diventavano armonia in tutti i momenti della giornata: senza sosta, sempre a lavorare ma con il sorriso della Pasqua impresso sui volti!
La teologia della Risurrezione di Cristo, come le donne di buon mattino al sepolcro, ce l’hanno saputa trasmettere nell’ordinario della quotidianità. Non era mai banale o formale l’augurio di Pasqua: era realmente annuncio di vittoria di Cristo sulla morte! Vittoria sulla tristezza, sul lamento, sulla depressione, sulle lacrime che, come pioggia caduta dal cielo, irrigano e fecondano la nostra esistenza.
Come le donne del vangelo che, alle prime luci dell’alba, si recarono al sepolcro, per le nostre mamme ogni mattina è stata sempre un’alba di risurrezione, anche nei momenti di dolore, di stanchezza, di malattia, di freddo o caldo. L’alba della risurrezione ci è stata raccontata e annunziata non con belle frasi ma con la vita capace di esprimere questo senso di vittoria su ogni forma di morte.
Nostalgia del passato? Forse, ma non penso. Sono sicuro che sono cambiate le modalità ma in quante famiglie cristiane anche oggi si celebra realmente la Pasqua del Signore!
Sono storie dei nostri giorni che si vivono nelle nostre case, sui posti di lavoro, in giro per il mondo. Storie di vittoria di Cristo sulla morte, sul dolore, sulla disperazione. Una forza straordinaria, che non viene dall’uomo ma da Dio, fa rotolare la naturale pietra tombale che la vita impone, scrivendo pagine di risurrezione riconosciute tali solo da chi, nell’impotenza le ha vissute accanto e ne ha fatto tesoro.
Penso alla storia della piccola Mary di Scanzano Jonico: l’amore di mamma e papà insieme all’intera famiglia ha contagiato chiunque si è recato in quella casa. La tomba del sepolcro nulla ha potuto contro la forza della vita vittoriosa in Cristo Gesù.
Come dimenticare la giovane mamma, Lucia, di Marconia, partita da questa terra verso gli spazi infiniti dell’eternità con quel sorriso smagliante che ha illuminato quanti le stavano vicini fino all’ultimo respiro! In una videochiamata, mi ha detto, svegliandosi come d’incanto dal torpore del sonno della morte: “non ho paura, sono pronta” e subito dopo ha chiuso gli occhi a questa vita per riaprirli per sempre a contemplare la luce eterna.
Uno dei primi ammalati che ho incontrato, venendo a Matera, è stato Vincenzo, ammalato di SLA. Giovane papà capace di parlare con gli occhi e di infondere coraggio. Quanta pace! Nonostante il dolore e il vuoto, ha lasciato una scia di profumo di vita che hanno saputo raccogliere quanti l’hanno conosciuto, soprattutto la moglie, i figli e familiari tutti.
L’elenco di storia di vittoria della vita sulla morte sarebbe lungo ma non posso dimenticare certamente il giovane Lazzaro di Metaponto dove la fede dei suoi genitori, nonostante il grande dolore e il vuoto che un figlio può lasciare, stanno trovando appoggio alla croce gloriosa di Cristo rendendoli testimoni di vita. O il giovane papà Francesco, di Matera, che, incontrando in modo nuovo il Signore nella sua malattia, ha saputo lasciare ai suoi giovanissimi figli e a sua moglie una grande testimonianza: è possibile affrontare la malattia e la morte abbandonandosi completamente tra le braccia misericordiose di Dio.
Giovani, uomini e donne pronti a seguire Cristo fino in fondo. Testimonianze scritte nel libro della vita consegnato a noi perché continuiamo a leggere e meditare come sia vera la storia di Cristo che oggi continua a vincere sulla morte.
La pietra sepolcrale, che sigilla per sempre nel buio senza uscita quella carne che ritorna alla terra, ancora una volta viene fatta rotolare dalla certezza che il Dio di Gesù Cristo distrugge la morte e ci apre alla speranza della Risurrezione.
Ciò che per tanti è la fine di tutto, per noi cristiani è l’inizio vero di ogni cosa. Il cattivo odore della morte lascia il posto al profumo di vita nuova che in Cristo noi riceviamo: in lui siamo più che vincitori!
Celebrare la Pasqua significa, allora, cogliere il passaggio di Dio oggi nella storia degli uomini per rianimarli dallo sconforto, dalla rassegnazione, dal pessimismo che spesso chiude alla speranza del cambiamento. Nessuno di noi potrà vivere l’autentico messaggio della Pasqua se non sente la certezza che Cristo oggi attraversa la sua vita.
Faccio mia una frase del compianto Mons. Antonio Riboldi, vescovo di Acerra, che diceva: “Voler cancellare le impronte di Dio tra noi – anche oggi – è cancellare l’alito di Vita di Dio in noi”.
Impronte che sono evidenti e sulle quali noi camminiamo uscendo dal buio della storia per tracciarne altre perché le nuove generazioni possano percorrerle e tracciarne ancora altre. È la storia della salvezza che ci fa sentire l’alito di Dio che ci possiede rimettendoci in piedi, per camminare, in una semina di vita, tra i solchi della terra tracciati con l’aratro della fede, il vomere della speranza, per arricchire la messe della carità. Immagine del passato capace di cogliere che anche oggi Gesù continua ad entrare nei loculi della vita per tirare fuori quanti hanno perso il gusto e la bellezza del vivere e tornano a respirare l’alito di Dio.
Quando perdiamo una persona cara, il vuoto che lascia è incolmabile. Lo diciamo e soprattutto lo sperimentiamo. L’amore ci porta, come le donne che si recano al sepolcro, nel luogo dove il corpo si trova per sfiorare con la mano e lo sguardo quella lapide sempre più fredda. Eppure compiamo un gesto importante: poniamo dei fiori, lasciamo accesa una lampada. Sono il segno della bellezza e del profumo del Paradiso, segno della luce eterna che splende per sempre.
Ma c’è un passaggio più importante nella celebrazione della Pasqua. Non è desiderando la morte o chiudendosi in un mondo di morte la condizione che favorisce la pace nella vita eterna. La vita va comunque vissuta ritrovando entusiasmo, voglia di esserne protagonisti. Non possiamo cercare tra i morti colui che è vivo. Sono esattamente le parole dei due uomini, presumibilmente angeli, alle donne doppiamente disperate: perché il loro maestro e Signore è stato ucciso e perché adesso non hanno un luogo e un corpo su cui piangere.
Noi non poniamo la nostra speranza in un luogo, per quanto sacro e importante possa essere, ma in quel Dio che si è fatto uomo e che ha infranto le rocce della morte, riempiendo di luce i volti segnati dal dolore, dall’angoscia. È la luce del Cristo risorto che ridà colore alla vita, sapore alla quotidianità, forza nelle tribolazioni, speranza nelle delusioni.
Questa nuova consapevolezza ridona energia alle donne che ritornano nel cenacolo per annunciare quanto hanno visto e sentito ma soprattutto quanto stanno vivendo: se prima piangevano di dolore, ora le lacrime hanno il sapore di una commozione piena di gioia.
È l’esperienza che vive Pietro che, nonostante sia molto perplesso da quanto le donne hanno raccontato, recandosi al sepolcro insieme a Giovanni e trovando solo i teli, prova stupore e il suo cuore si riempie di gioia. Sperimenta così l’armonia del compimento delle promesse, la melodia del canto della vittoria. Quanto Gesù ha loro insegnato ora si è compiuto. Lo comprendono solo alla luce di quanto hanno sentito, visto e toccato.
Non si parla del Risorto perché altri ne parlano. Solo chi l’ha realmente incontrato e sa raccontare con la propria vita quanto il Signore ha fatto per lui, potrà dire che la sua testimonianza è vera. Non a caso nell’Epistola S. Paolo, scrivendo ai Romani, ci ha detto: “Ma se siamo morti con Cristo, crediamo che anche vivremo con lui, sapendo che Cristo, risorto dai morti, non muore più; la morte non ha più potere su di lui. Infatti egli morì, e morì per il peccato una volta per tutte; ora invece vive, e vive per Dio. Così anche voi consideratevi morti al peccato, ma viventi per Dio, in Cristo Gesù”.
In questa Santa notte abbiamo la gioia di celebrare i sacramenti dell’iniziazione cristiana (Battesimo, Cresima ed Eucaristia): questi sei Catecumeni si sono preparati nelle loro comunità parrocchiali attraverso un serio cammino e hanno alimentato sempre più il desiderio di diventare cristiani.
Carissimi catecumeni, fra poco sarete battezzati: entrerete a far parte di questa grande famiglia che è la Chiesa e diventerete figli di Dio, quindi nostri fratelli. Insieme a voi crediamo nel Cristo che ha distrutto la morte. Nel fonte battesimale, nuovo Mar Rosso, morirà il vostro peccato. Dall’acqua del Battesimo nascerete e risorgerete a vita nuova. Sarete unti di Spirito Santo con l’olio profumato del Crisma per essere nel mondo il profumo di Cristo.
Vi accosterete alla mensa eucaristica nutrendovi dell’unico pane, cibo di vita eterna, e bevendo all’unico calice, contenente il sangue di Cristo. Voi stessi sarete il Corpo di Cristo.
Cari giovani, siate testimoni del Risorto. Con voi ringraziamo il Signore che provvede a generare, per mezzo della Chiesa, nuovi figli. Per voi preghiamo perché siate capaci di mantenervi fedeli alle promesse fatte durante gli scrutini e i diversi passaggi.
Ci affidiamo al sostegno di Maria, Madre del dolore e della risurrezione, aprendoci sempre più a un’unica certezza: Dio è fedele sempre e non tradisce mai l’amore che prova ognuno di noi.
E allora con gioia e forza, questa notte diciamo: Cristo è Risorto! È davvero Risorto!
Amen.