Caso Grillo, Crpo Basilicata insieme a coordinamento nazionale Cpo

L’organismo stigmatizza le parole usate dal leader politico. “Non condanniamo soltanto le discriminazioni e iniquità che frenano lo sviluppo del Paese, ma anche il linguaggio violento che incide nei rapporti tra donne e uomini”

“Dopo l’ennesima riproposizione del videomessaggio di Beppe Grillo in tutti i talk show di tutti i canali e in tutte le fasce orarie, riteniamo doveroso prendere parola per rammaricarci di quanto ancora si sottovaluti la potenza del linguaggio, la forza delle parole e gli effetti che possono provocare”. A sottolinearlo la presidente della Commissione regionale Pari opportunità, Margherita Perretti, evidenziando quanto sottolineato dal Coordinamento delle Commissioni pari opportunità di Regioni e Province Autonome che “stigmatizza il comportamento del leader politico che, da personaggio pubblico e popolare, utilizza la sua influenza per rafforzare quelli che sono stereotipi sessisti stantii quanto pericolosi. 

La coordinatrice nazionale Roberta Mori riscontra nel discusso video di Beppe Grillo a difesa del figlio accusato di stupro «un retaggio della visione predatoria del maschile che si autolegittima nonostante tutto, lo sfogo scomposto di un padre umanamente comprensibile ma del tutto inaccettabile nei modi, nei tempi e nel contesto di una società contemporanea che vuole emanciparsi dai rigurgiti patriarcali. Come persone impegnate nelle istituzioni per affermare diritti paritari e riequilibro di genere in una società ancora profondamente diseguale, non condanniamo soltanto le discriminazioni e iniquità che frenano lo sviluppo del Paese, ma anche il linguaggio violento che incide nei rapporti tra donne e uomini e in quella dimensione intima su cui si fonda la storia travagliata dell’emancipazione femminile.

Perché è questione di linguaggio, usato a sproposito su un tema, quello della violenza maschile sulle donne, che imporrebbe grande prudenza, rispetto, financo silenzio. Quando, al contrario, Grillo sceglie di parlare e lo fa da un unico e prevaricante punto di vista. Questa vittimizzazione secondaria, che dipinge le donne vittime di stupro come quelle che se la sono cercata e gli è pure piaciuto, che le riduce a corpi contendibili e colpevolizzabili, va rigettata senza alcun dubbio a prescindere dai sentimenti che la animano. In definitiva, qualunque sarà l’esito giudiziale della vicenda, le parole sono state sbagliate e tutti, a maggior ragione se personalità pubbliche, dovrebbero recuperare un linguaggio di senso, rispettoso delle donne e della realtà che ci circonda. Si riservino piuttosto spazi televisivi e di dibattito, indignazione e veemenza ai tanti, troppi femminicidi commessi da uomini che ancora fanno delle donne oggetti di proprietà da neutralizzare, violare, uccidere”.