Libri: la Cripta del peccato originale, “Sistina Rupestre” di Matera (Marenostrum di Storia, Arte, Archeologia)

di Giuseppe Massari - La grotta o cripta del peccato originale di Matera, già oggetto di studio da parte di Donato Giordano, con una pubblicazione che risale al 1989, torna alla ribalta con una nuovo studio curato da Gioia Bertelli, ordinario di Storia dell’Arte Medievale, Dipartimento di Lettere, Lingue, Arti. Italianistica e Culture comparate, Università degli Studi, Aldo Moro, di Bari e Marcello Mignozzi, dottore di ricerca in Arti, Letterature e Lingue italiana ed europee, Università degli Studi di Bari, di prossima presentazione, il 12 marzo, presso l’Ateneo di Bari, con gli interventi del Rettore, Felice Uricchio,  e i contributi di Marie Thérèse Jacquet, Direttore Dipartimento LELIA Università Bari, Marta Ragozzino, Soprintendente ad interim per i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici della Puglia, Raffaello De Ruggeri, Presidente Fondazione Zétema, Matera, Marina Falla Castelfranchi, Università del Salento, Lecce, Marco Jacobini, Presidente Banca Popolare di Bari, che ha provveduto alla sponsorizzazione dell’opera. “La Grotta del Peccato Originale a Matera.

La gravina, la grotta, gli affreschi, la cultura Materiale, Adda editore, Bari”, è la stessa scoperta nel 1963 da ignari pastori che la ribattezzarono, come scrive Raffaello De Ruggeri nel suo intervento di presentazione, “la grotta dei Cento santi”. E’ la stessa, che come ricorda lo stesso De Ruggeri, Alba Medea, nella sua fondamentale opera su “Gli affreschi delle cripte eremitiche pugliesi”, da allora in poi chiamò con il nome più scientificamente adatto di cripta. Il recente studio, “il primo organico ed interdisciplinare su quell’invaso grottale scoperto il 1° maggio 1963, a detta di De Ruggeri, “finalmente giunge dopo cinquant’anni”, grazie alla costanza e alla qualità scientifica di Gioia Bertelli. Il testo che sarà presentato, patrimonio della collana Marenostrum, Arte Storia, Archeologia, scritto a più mani da Sara Airò,  specialista in Archeologia tardoantica e medievale, Università degli Studi di Bari , Massimo Limoncelli, dottorando di ricerca in Studi Umanistici.

Tradizione e contemporaneità, Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano, Ruggero G. Lombardi, dottore di ricerca in Civiltà e cultura scritta fra Tardoantichità e Medioevo, Università degli Studi di Bari, Michela Rizzi, dottore di ricerca in Civiltà e cultura scritta fra Tardoantichità e Medioevo, Università degli Studi di Bari , Roberto Rotondo,  dottore di ricerca in Civiltà e cultura scritta fra Tardoantichità e Medioevo, Università degli Studi di Bari, si apre illustrando la specificità geomorfologica del luogo, accompagnando il lettore e l’eventuale visitatore nello straordinario geosito rappresentato dalla Murgia materana, dalle sue gravine, veri canyon di civiltà ed insediamenti rupestri.

Il recente lavoro di squadra, così come si conviene per siti bisognosi di essere conosciuti, apprezzati, custoditi, valorizzati e tramandati, sia pure non esaustivo, come ogni ricerca degna di tal nome, ha avuto il pregio, grazie all’impegno dell’autrice di essere diagnosticato da un punto di vista storico e pittorico, soprattutto perché l’indagine ha affrontato, attraverso puntuali comparazioni e in una visione d’insieme le condizioni e le tensioni di un’epoca complessa, e in parte non documentata, come fu quella dell’Alto Medioevo in Basilicata. A riprova di tutto ciò, gli autori cercano di rintracciare nelle fonti documentarie la denominazione di questo eccezionale luogo di culto: che potrebbe essere individuata nel Chronicon Sanctae Sophiae di Benevento (del 774), là dove si ricorda una donazione del principe longobardo Arechi II al monastero beneventano di S. Sofia, la donazione di una «ecclesia sancte Marie que posita est in Matera in Affle» (nel documento, tra le righe, si aggiunge che la chiesa era intitolata anche all’Angelo). E il fatto che la Vergine e i tre arcangeli vengano qui raffigurati in due nicchie, potrebbe avvalorare questa identificazione.

A conclusione, è lecito lasciarsi andare ad una considerazione. L’aver puntato e consolidato la ricerca su questo genere unico di pittura, sul fascino che ha conservato nei secoli, e che continua ancora ad emettere, ci fa andare giustamente, non solo a quel tempo molto remoto e molto lontano, ma, anche a uno più vicino: il 2005, quando l’antico insediamento, con orgoglio cittadino fu definito “La Cappella Sistina” delle chiese rupestri. Mai definizione fu più consona, pertinente, veritiera, anche se audace e un po’ temeraria.