Arcidiocesi di Matera-Irsina: intervento del segretario del Sinodo


MATERA - Carissimi do il mio Benvenuto a tutti:

al Popolo santo di Dio protagonista del Sinodo, Chiesa in cammino nelle varie comunità, associazioni e movimenti, e che insieme forma l’unica Chiesa di Matera – Irsina;

ai delegati al Sinodo, sacerdoti, religiosi e religiose e laici, che avremo la responsabilità di ascoltare, discernere, individuare vie nuove per l’annuncio del Vangelo in questo nostro tempo;

al Carissimo Padre Arcivescovo che ci ha convocati per condividere con lui la gioia e la responsabilità della guida della nostra Chiesa;

a S. E. Mons. Salvatore Ligorio, già nostro arcivescovo e ora Metropolita di Basilicata, che ci onora della sua presenza orante e che, dopo la Visita Pastorale durata ben quattro anni dal 2011 al 2015, stava maturando la decisione di proporre un Sinodo;

agli Ecc.mi Arcivescovi e Vescovi delle Chiese di Basilicata, S.E. Mons. Vincenzo Orofino, S.E. Mons. Francesco Sirufo, (S.E. Mons. Ciro Fanelli), S.E. Mons. Giovanni Intini, S.E. Mons. Michele Scandiffio, S.E. Mons. Agostino Superbo, S.E. Mons. Rocco Talucci, la Vostra presenza qui esprime visibilmente e testimonia la grande e sostanziale comunione tra Voi Vescovi e tra le Chiese di Basilicata;

al Pastore della Chiesa Battista in Matera, Dott. Luca Reina, con la comunità Battista è in atto da molto tempo un dialogo ecumenico nella preghiera e nell’amicizia;

alle Autorità Civili e Militari presenti con le quali la Chiesa è in dialogo e cammina insieme per realizzare il bene comune.

Un particolarissimo pensiero e ringraziamento va a papa Francesco, che al Convegno di Firenze del novembre 2015 ha incoraggiato le Chiese che sono in Italia a intraprendere un percorso sinodale, “permettetemi solo di lasciarvi un’indicazione per i prossimi anni: in ogni comunità, in ogni parrocchia e istituzione, in ogni Diocesi e circoscrizione, in ogni regione, cercate di avviare, in modo sinodale, un approfondimento della Evangelii gaudium, per trarre da essa criteri pratici e per attuare le sue disposizioni, specialmente sulle tre o quattro priorità che avrete individuato in questo convegno” intravvedendo in questo stile di Chiesa sinodale l’urgenza di una conversione pastorale, perché la gioia del Vangelo raggiunga tutti e in modo particolare coloro che vivono le periferie esistenziali.

Un’occasione storica ci vede qui riuniti in questa Basilica – Cattedrale, Chiesa Madre della nostra Diocesi, l’apertura del Primo Sinodo della Chiesa di Matera – Irsina, da quando nel 1976 ha preso questa configurazione, Primo Sinodo dopo la celebrazione del Concilio Ecumenico Vaticano II.

È proprio dal Concilio e dal Convegno di Firenze che la nostra Chiesa ha preso a muoversi nel realizzare l’anno scorso il percorso sinodale studiando l’Evangelii gaudium e le quattro costituzioni conciliari Sacrosanctum Concilium, Dei Verbum, Lumen gentium e Gaudium et spes.

Ora dopo l’indizione del Sinodo avvenuta il 19 maggio 2018 e la preparazione e la consegna dell’Instrumentum laboris siamo pronti per metterci in ascolto di ciò che lo Spirito suggerirà alla nostra Chiesa, in ascolto della Parola fatta carne che è viva ed efficace e che continua a manifestarsi nella carne dei poveri e a parlare attraverso il sensus fidei del popolo di Dio.

Le diciotto sessioni del Sinodo toccheranno alcuni punti essenziali della vita della Chiesa e della vita delle persone destinatarie dell’annuncio evangelico.

Partiremo sicuramente dal riscoprire la freschezza e la novità perenne della persona di Gesù Cristo e del suo Vangelo.

Gesù, vino nuovo, ha bisogno di essere accolto in otri nuovi e sempre capaci di rinnovarsi al contatto con Lui, per assumerne i sentimenti.

Papa Francesco a Firenze ha suggerito che il cristiano deve avere i sentimenti di Cristo per realizzare il nuovo umanesimo:

Umiltà, disinteresse, beatitudine: questi i tre tratti che voglio oggi presentare alla vostra meditazione sull’umanesimo cristiano che nasce dall’umanità del Figlio di Dio. E questi tratti dicono qualcosa anche alla Chiesa italiana che oggi si riunisce per camminare insieme in un esempio di sinodalità. Questi tratti ci dicono che non dobbiamo essere ossessionati dal “potere”, anche quando questo prende il volto di un potere utile e funzionale all’immagine sociale della Chiesa. Se la Chiesa non assume i sentimenti di Gesù, si disorienta, perde il senso. Se li assume, invece, sa essere all’altezza della sua missione. I sentimenti di Gesù ci dicono che una Chiesa che pensa a sé stessa e ai propri interessi sarebbe triste. Le beatitudini, infine, sono lo specchio in cui guardarci, quello che ci permette di sapere se stiamo camminando sul sentiero giusto: è uno specchio che non mente.

Una Chiesa che presenta questi tre tratti – umiltà, disinteresse, beatitudine – è una Chiesa che sa riconoscere l’azione del Signore nel mondo, nella cultura, nella vita quotidiana della gente. L’ho detto più di una volta e lo ripeto ancora oggi a voi: «preferisco una Chiesa accidentata, ferita e sporca per essere uscita per le strade, piuttosto che una Chiesa malata per la chiusura e la comodità di aggrapparsi alle proprie sicurezze. Non voglio una Chiesa preoccupata di essere il centro e che finisce rinchiusa in un groviglio di ossessioni e procedimenti» (Evangelii gaudium, 49).

Vorremmo che lo stile sinodale fatto di ascolto di tutti, di parresia, di franchezza, di valorizzazione dei doni presenti in ciascuno, che sperimenteremo nel Sinodo, diventi lo stile ordinario e feriale delle nostre comunità, attraverso un reale funzionamento degli organismi di partecipazione ecclesiale. Una Chiesa in uscita che sappia andare incontro alle persone, che non si chiude nelle sacrestie, nei riti, in un devozionismo rassicurante o nel “si è fatto sempre così”, nell’autoreferenzialità.

Il Sinodo ci chiederà di rivedere le strutture ecclesiali perché siano a servizio dell’evangelizzazione e non fini a sè stesse o per preservare un certo prestigio.

L’azione pastorale bisogna che abbia al centro Gesù Cristo e il fine per cui è venuto: salvare l’uomo, tutto l’uomo e tutti gli uomini. Bisogna allora che conosciamo e amiamo gli uomini e le donne di questo nostro tempo, con le loro risorse e fragilità, con il desiderio di felicità e di verità che li anima, evitando giudizi facili o pregiudizi che allontanano.

La Chiesa “madre e maestra” oggi deve essere più madre, più capace di accoglienza e di tenerezza, capace di offrire speranza e di suscitare domande prima di dare risposte preconfezionate che magari non trovano riscontro nel cuore delle persone.

Dovremo rivedere il modo di fare catechesi, le forme di primo annuncio, di predicazione; dobbiamo riscoprire l’ars celebrandi, in questo ci aiuterà anche la pubblicazione del nuovo Messale, perché le nostre liturgie siano più vibranti dell’azione dello Spirito ed esperienza del mistero e meno spettacolo.

Vorremmo che la Chiesa tutta e ogni suo membro diventi più missionaria, più aperta alle novità dello Spirito alle necessità dei fratelli in umnaità.

Il Sinodo dovrà aiutare la Chiesa a farsi carico degli ultimi, dei piccoli, dei poveri, delle famiglie in difficoltà, dei senza speranza…

“A tutta la Chiesa italiana raccomando ciò che ho indicato in quella Esortazione: l’inclusione sociale dei poveri, che hanno un posto privilegiato nel popolo di Dio, e la capacità di incontro e di dialogo per favorire l’amicizia sociale nel vostro Paese, cercando il bene comune.

L’opzione per i poveri è «forma speciale di primato nell’esercizio della carità cristiana, testimoniata da tutta la Tradizione della Chiesa» (Giovanni Paolo II, Enc. Sollicitudo rei socialis, 42). Questa opzione «è implicita nella fede cristologica in quel Dio che si è fatto povero per noi, per arricchirci mediante la sua povertà» (Benedetto XVI, Discorso alla Sessione inaugurale della V Conferenza Generale dell’Episcopato Latinoamericano e dei Caraibi). I poveri conoscono bene i sentimenti di Cristo Gesù perché per esperienza conoscono il Cristo sofferente. «Siamo chiamati a scoprire Cristo in loro, a prestare ad essi la nostra voce nelle loro cause, ma anche a essere loro amici, ad ascoltarli, a comprenderli e ad accogliere la misteriosa sapienza che Dio vuole comunicarci attraverso di loro»” (Evangelii gaudium, 198).

Non è un caso ma una scelta voluta che il Sinodo cadesse proprio nell’anno in cui Matera è capitale europea della cultura. Al grande impegno che come Chiesa stiamo mettendo per dare un contributo significativo di eventi e di progettualità bisogna che cresca in ogni cristiano e in tutte le comunità la consapevolezza che la cultura non è appannaggio di poche élite, ma che è patrimonio comune e che la Chiesa tanto ha fatto e continua a fare perché la fede generi cultura.

Sempre papa Francesco a Firenze:

Vi raccomando anche, in maniera speciale, la capacità di dialogo e di incontro. Dialogare non è negoziare. Negoziare è cercare di ricavare la propria “fetta” della torta comune. Non è questo che intendo. Ma è cercare il bene comune per tutti. Discutere insieme, oserei dire arrabbiarsi insieme, pensare alle soluzioni migliori per tutti. Molte volte l’incontro si trova coinvolto nel conflitto. Nel dialogo si dà il conflitto: è logico e prevedibile che sia così. E non dobbiamo temerlo né ignorarlo ma accettarlo. «Accettare di sopportare il conflitto, risolverlo e trasformarlo in un anello di collegamento di un nuovo processo» (Evangelii gaudium, 227).

Ma dobbiamo sempre ricordare che non esiste umanesimo autentico che non contempli l’amore come vincolo tra gli esseri umani, sia esso di natura interpersonale, intima, sociale, politica o intellettuale. Su questo si fonda la necessità del dialogo e dell’incontro per costruire insieme con gli altri la società civile. …

La società italiana si costruisce quando le sue diverse ricchezze culturali possono dialogare in modo costruttivo: quella popolare, quella accademica, quella giovanile, quella artistica, quella tecnologica, quella economica, quella politica, quella dei media... La Chiesa sia fermento di dialogo, di incontro, di unità. Del resto, le nostre stesse formulazioni di fede sono frutto di un dialogo e di un incontro tra culture, comunità e istanze differenti. Non dobbiamo aver paura del dialogo: anzi è proprio il confronto e la critica che ci aiuta a preservare la teologia dal trasformarsi in ideologia.

Ricordatevi inoltre che il modo migliore per dialogare non è quello di parlare e discutere, ma quello di fare qualcosa insieme, di costruire insieme, di fare progetti: non da soli, tra cattolici, ma insieme a tutti coloro che hanno buona volontà.

(Un grande esempio ci viene da tutto il lavoro che la Fondazione Matera – Basilicata ha messo in atto da tempo per questo anno 2019).

Il Sinodo con coraggio e senza timori dovrà affrontare temi spinosi e difficili: “Una Chiesa che ha al centro il Signore, dove si impara ad amarsi gli uni gli altri, dove la preghiera e la lettura della Bibbia sono centrali, dove si incoraggi e valorizzi la condivisione delle storie di fede. Una Chiesa che non abbia paura di affrontare questioni spinose e temi difficili; una Chiesa attiva e impegnata, accogliente e comunicativa, attrezzata per affrontare le sfide del mondo con i suoi linguaggi, le sue tecnologie, i suoi problemi. Una Chiesa gioiosa e pellegrina, che entra nei condomini, nelle carceri, negli ospedali, nelle attività culturali e sociali con maggior entusiasmo, a partire da questo anno tutto particolare, il 2019, che abbiamo la grazia di vivere”.

Quello che ho delineato è solo un piccolo saggio del lavoro che ci attende tutti.

Sì, sappiamolo, il Sinodo è di tutta la Chiesa, dell’intero popolo di Dio: attraverso le proposte formulate dai Consigli pastorali in seguito alla lettura dell’Instrumentum laboris, la preghiera per il Sinodo che ogni giorno si eleverà da parte dei singoli e delle comunità, l’offerta di sacrifici e sofferenze da parte dei nostri anziani e malati, attraverso quanto verrà riportato puntualmente dai delegati delle parrocchie alle comunità… tutti siamo protagonisti del Sinodo.

Un compito tutto speciale, però, è riservato ai delegati al Sinodo.

Tra un po’, dopo la prolusione dell’Arcivescovo, saremo chiamati per nome, per fare la nostra professione di fede, come è uso prima di assumere ogni incarico ecclesiale, faremo un giuramento di fedeltà al Magistero della Chiesa e alla responsabilità che assumiamo dietro la nomina che l’Arcivescovo ha approntato per ciascuno, firmeremo il verbale di apertura del Sinodo.

Preghiamo per i delegati e in modo particolare per la segreteria del Sinodo che ha il compito di coordinare, di raccogliere materiali, di approntare in seguito il documento finale.

Lo Spirito Santo illumini il nostro Padre e Pastore perché possa guidare con saggezza e prudenza la Chiesa di Matera – Irsina, doni a Lui un cuore che ascolta e la fermezza nell’assumere decisioni per il bene del popolo di Dio e della missione della Chiesa in questo tempo di grazia che il Signore ci concede di vivere.

Buon Sinodo a tutti.