Nell’omelia della Veglia Pasquale il pensiero di mons. Caiazzo, Vescovo di Matera

ROMA - “Carissimi, ben conoscendo le vie strette di Gerusalemme che portano al luogo del Santo Sepolcro, ho pensato alle nostre strade di Matera. Sono andato indietro nel tempo e le ho immaginate buie, sterrate e con qualche lume acceso.

Osservare a Matera l’alba è uno spettacolo meraviglioso: all’orizzonte il cielo si riempie pian piano di luce che, attraversando le nuvole, si sminuzza in lingue di fuoco. E’ la luce che vince le tenebre della notte e invade le viuzze e i tanti vicinati, già svegli e rumorosi per lo scalpitio dei muli dagli zoccoli di ferro forgiati e inchiodati nelle spesse unghie. Insieme, le operose donne con fare vociante, svegliano i bimbi che cominciano a correre nella via riempiendola di gridolini felici.

In questo scenario del passato, mi sembra di essere a Gerusalemme, dove le donne, nell’apprendere che Gesù è risorto, nel giro di pochi minuti, di bocca in bocca, rimandano la notizia che attraversa i Sassi e raggiunge la Civitas.

Passano gli anni, i secoli, i millenni e nel frattempo anche Matera e i nostri paesi e borghi si trasformano in tante piccole o grandi Gerusalemme. Suonano a festa le campane per annunciare la risurrezione di Gesù dai morti. Le mamme battono i coperchi delle pentole da cucina, fuori vengono buttati utensili ormai vecchi o rovinati per lasciare il posto ai nuovi. E’ tutto un annuncio di vittoria: la vittoria della vita sulla morte”.

Si è rivolto con queste parole mons. Pino Caiazzo, ai fedeli presenti nella Cattedrale di Matera per la Veglia Pasquale.

“E’ la notte della festa di Pasqua, la più importante dell’anno. E’ la notte che parla attraverso i segni, i riti, il canto dell’Exultet che annuncia la Pasqua, la Parola che risuona abbondante come non mai. E’ anche la notte della nascita nello Spirito, attraverso la celebrazione del Battesimo e degli altri sacramenti dell’iniziazione cristiana.

E’ la notte durante la quale la pietra dal sepolcro viene rotolata, non dal nostro desiderio o dalla buona volontà, ma da Colui che ha distrutto la morte, risorgendo: Cristo Gesù. Noi, da soli, non toglieremo mai i nostri macigni, i nostri peccati, perché non abbiamo fiducia e speranza in noi stessi, negli altri, nella storia, nella vita, nella risurrezione. Il momento storico che stiamo vivendo facilmente suscita questi sentimenti negativi. Questa pietra è, comunque, il nostro legame morboso con la vita terrena che ci impedisce di guardare verso la vita eterna.

Questa notte risuona ancora il grido di gioia pasquale: «Cristo è risorto dai morti, a tutti ha donato la vita». La veglia Pasquale è stata definita da S. Agostino “Madre di tutte le veglie”, quindi il cuore di tutta la vita cristiana che continua per la Domenica di Pasqua.

Ci siamo preparati a questo momento con il Triduo Pasquale che ci conduce al momento della gioia, dopo il passaggio della passione e morte di Gesù. La sua risurrezione è il passaggio dalla morte alla vita: oggi celebriamo la vittoria di Cristo sulla morte sconfitta per sempre. E’ questo il senso dell’accendere il fuoco nuovo nel buio della notte, prenderlo con il cero pasquale e seguirlo in processione: è la speranza che ogni notte della vita venga illuminata dalla presenza viva di Cristo, “Luce del mondo”, dal quale ognuno di noi ha attinto la medesima luce.

Ma c’è un altro grido che attraversa le vicende dolorose vissute in tante parti del mondo: è il grido – ha detto mons. Caiazzo – dei profughi che a migliaia lasciano le loro terre, i loro affetti, a causa di guerre, carestie, fame, tirannie, persecuzioni, devastanti terremoti, clima impazzito, disperazione e che a volte, purtroppo, trovano la morte in quel mare che rappresenta l’unica via di salvezza. Tra il grido di questa notte e quello del mondo e della natura c’è tanta lontananza.

Eppure, soprattutto in un momento storico così difficile per l’umanità intera, si avverte il bisogno di questo annuncio. La morte non può essere la fine di tutto. Non c’è tomba che possa trattenere la vita sotto le macerie del terremoto, dei palazzi bombardati, delle acque del mare.

Papa Francesco, diceva lo scorso anno: “La Pasqua, dunque, inizia ribaltando i nostri schemi. Giunge con il dono di una speranza sorprendente. Ma non è facile accoglierla. A volte – dobbiamo ammetterlo – nel nostro cuore questa speranza non trova spazio. Come le donne del Vangelo, anche in noi prevalgono domande e dubbi, e la prima reazione di fronte al segno imprevisto è la paura, “il volto chinato a terra”.

Abbiamo ascoltato che Maria di Magdala e l’altra Maria, sfidando le autorità religiose – diversamente dai discepoli che restano chiusi nella delusione e nella disperazione – si rivelano vere missionarie portando con sé gli aromi che avevano preparato. Questo gesto, ci dice Papa Francesco, “ci insegna ad accarezzare, ad amare con tenerezza e fa del mondo una cosa bella”. In effetti questo gesto va letto come gesto di grande affetto verso quel corpo martoriato. Gesto da compiere nel buio della notte, nel momento triste e difficile della vita, perché da quel corpo si elevi il profumo della vita. E’ la forza d’amore della donna che non si arrende mai e, nonostante il grande dolore e le tante lacrime, continua a partorire vita nei gesti silenziosi e pieni di tenerezza.

Dio ci meraviglia sempre. E anche le donne restano meravigliate: il Cristo morto crocifisso con la sua risurrezione ha riaperto la tomba, rotolando il masso dell’ingiustizia e del potere umano, della negazione della libertà e della guerra, dei mari in tempesta e dei naufragi. La sua risurrezione ha un valore cosmico perché morte e vita si sono affrontate in un duello vero e proprio: la speranza è la risposta alla disperazione, la lotta per il bene comune antidoto alla rassegnazione. Abbiamo la certezza che qualsiasi tipo di potenza, che abbia come codici distintivi l’odio e la distruzione, sarà definitivamente distrutta.

Le due Maria non trovano il corpo di Gesù ma due angeli che dicono loro: “Perché cercate tra i morti colui che è vivo?”. E’ una sorpresa che lascia senza parole e piene di paura le due donne. Ci dice l’evangelista Luca, “tenevano il volto chinato a terra”. Fino a quando non faranno memoria di quanto il Maestro aveva detto loro: doveva soffrire molto, essere messo in croce, morire e poi risorgere. Tutto si trasforma improvvisamente in gioia: corrono e bussano alle porte chiuse della vita, entrano nelle case della disperazione, accendono la luce della speranza che vince ogni morte.

Nessuno di noi potrà dirsi veramente cristiano se gli manca la certezza che il Signore è sempre con noi, non ci abbandona al nostro destino, in balia delle onde della morte, della forza della natura, delle bombe devastanti costruite dagli uomini. Lui è vivo ed è in mezzo a noi; con noi vuole scrivere pagine di vita dove l’amore, la fraternità, il perdono, il bene dell’umanità intera e, quindi, della terra, rifondano quella dignità che permetta di ritornare ad essere uomini, capaci di rivestirsi di natura divina.

Alla luce di queste considerazioni, come credenti, siamo invitati ad essere operatori di pace e di giustizia. Gesù, il Risorto, sta dalla nostra parte di quanti s’impegnano in aiuti umanitari, invocano la pace, portano affetto e solidarietà alle popolazioni oppresse e tenute continuamente sotto assedio dai bombardamenti. “…Mettete dei fiori nei vostri cannoni perché non vogliamo mai nel cielo molecole malate, ma note musicali che formano gli accordi per una ballata di pace, di pace, di pace…”. Sono le parole di una canzone dei Giganti, intitolata Proposta, che ho imparato fin da piccolo. Era il 1967 e c’era la scellerata guerra in Vietnam. Celebrare la Pasqua significa far crescere fiori nuovi, belli, diversi, colorati, profumati, per disarmare la cultura della guerra e delle armi. Non più droni con obiettivi mirati ad uccidere ma, novelle cicogne, portino la vita paracadutando pollini. Non più carri armati o missili intelligenti che distruggono case, luoghi di accoglienza, di cura, d’istruzione, ma carri pieni di viveri e doni per nutrire, vestire, riprendere a vivere.

Risurrezione significa non farsi vincere dalla frustrazione e dalla stanchezza di operare per il bene di tutti. Spesso si nota lo scoraggiamento, si avverte il pessimismo e la tentazione di lasciarsi andare alla rassegnazione, rispolverando il fatalismo o il destino, affidandosi alle proposte delle religioni orientali, che sono il contrario dell’annuncio cristiano e quindi della risurrezione, della vittoria della vita sulla morte.

Auguri di S. Pasqua a tutti. La pace di Cristo risorto possa dare serenità alle famiglie della nostra città e dell’intera Chiesa di Matera-Irsina e di Tricarico, a quanti in questo tempo sono ospiti a Matera e nel nostro territorio. Un particolare pensiero a quanti soffrono nel corpo e nello spirito, a quanti aspettano, nella loro condizione di povertà, un gesto, una carezza, uno sguardo pieno d’affetto, perché possa circolare la concretezza dell’amore.

Così sia.

✠ Don Pino“