Dagli inizi degli Anni Novanta del secolo scorso a oggi l’aria in Europa, e in particolare nel Mediterraneo, è diventata più secca, con un “trend” che non ha precedenti negli ultimi 400 anni: senza le emissioni di gas serra, e quindi senza la “mano pesante” dell’uomo, non sarebbe stato possibile raggiungere questi livelli, con riflessi ampiamente negativi, ad esempio, sull’agricoltura o sugli allevamenti di animali, dove sarà necessaria più acqua per le produzioni, e con un aumento della siccità e del rischio di incendi.
Questo scenario emerge dalla “lettura” degli anelli degli alberi degli ultimi 400 anni, con dati che dimostrano come, dall’inizio del XXI secolo, l’aria su vaste aree dell’Europa è diventata più secca rispetto ai periodi precedenti, e questa tendenza continua. La ricerca – pubblicata nella rivista internazionale “Nature Geoscience” – è stata coordinata da Kerstin Treydte dell’Istituto Federale di ricerca per la foresta, la neve e il paesaggio (Wsl) della Confederazione Elvetica, e ha visto la partecipazione di un consorzio internazionale di 67 ricercatori fra cui l’ecologo forestale, il prof. Antonio Saracino del Dipartimento di Agraria dell’Università di Napoli Federico II, e il tecnologo del legno ed esperto in dendrocronologia, il prof. Luigi Todaro della Scuola di Scienze Agrarie, Forestali, Alimentari ed Ambientali (Safe), dell’Università degli studi della Basilicata.
I dati dello studio (“Recent human-induced atmospheric drying across Europe unprecedented in the last 400 years”) sono stati raccolti in un’area che spazia dalle foreste della penisola Scandinava fino al Mediterraneo: la variazione del rapporto isotopico dell’ossigeno presente nella cellulosa del legno di conifere e latifoglie decidue (soprattutto pini e querce), ha consentito di ricostruire su base annuale le variazioni di umidità dell’atmosfera di ciascuno dei 45 siti in cui gli alberi analizzati sono cresciuti. Più l’aria è secca, maggiore è il suo potere evaporante e, quindi, maggiori sono le perdite di acqua da parte della vegetazione mediante la traspirazione, ma anche per evaporazione da parte del suolo, dalle superfici dei laghi e dei mari. Così nelle giornate calde estive, quando la temperatura dell’aria è elevata, il potere evaporante dell’atmosfera è molto alto e ciò fa aumentare il consumo di acqua nelle piante rendendole più vulnerabili agli stress idrici: i tessuti vegetali vivi e morti più asciutti e quindi più predisposti agli incendi, ma anche i consumi idrici in agricoltura aumentano. Lo studio rivela anche differenze regionali: è nel Nord Europa che l’aria è diventata meno secca rispetto all’epoca preindustriale, perché a latitudini elevate l’aria è più fresca e l’acqua non evapora facilmente. Nelle pianure dell’Europa centrale, nelle Alpi e nei Pirenei, dove le temperature hanno subito maggiori aumenti negli ultimi cento anni, l’aumento è invece particolarmente accentuato, con valori massimi negli anni di siccità 2003, nel 2015 e nel 2018. Gli anelli degli alberi “rivelano” così la secchezza dell’aria passata e presente. A differenza degli indici climatici classici di aridità, precipitazioni o temperatura, secondo Saracino e Todaro il deficit di pressione in atmosfera documenta in modo integrato processi come gli scambi di flussi di energia, acqua e carbonio delle coperture forestali con l’atmosfera. In altre parole, mentre in molte aree dell’Europa era ben documentato come senza precedenti l’aumento della temperatura con effetti benefici sulla crescita delle piante, Treydte e coautori documentano per le stesse aree un aumento del deficit di acqua nell’atmosfera. Nel contesto mediterraneo l’aria sempre più secca determina una riduzione del carbonio fissato da parte degli alberi forestali e una maggiore vulnerabilità del loro sistema idraulico di trasporto dell’acqua, con conseguente mortalità diffusa. In agricoltura, dove le piante fruiscono di irrigazioni, il fabbisogno idrico delle coltivazioni aumenterà per mantenere livelli soddisfacenti di produzioni per il consumo umano e per gli allevamenti di animali.