Per una filosofia interprete del presente: due lezioni con Agnes Heller

POTENZA - Perché parlare oggi di utopia? Perché oggi è più importante la distopia dell’utopia? La bellezza ci salverà? A queste domande ha risposto una delle menti più lucide della nostra epoca, la filosofa ungherese Agnes Heller, ospite d’eccezione delle “Lezioni del Novecento” organizzate dalla Fondazione Leonardo Sinisgalli in collaborazione con l’Università della Basilicata, con l’Istituto per gli Studi Filosofici - Scuola di Potenza e con gli Istituti Scolastici che hanno aderito a questa quinta rassegna della manifestazione.

Il 16 marzo la Heller è stata accolta nell’Aula Magna dell’Università della Basilicata a Potenza, nel Rione Francioso, per la sua Lectio magistralis su “Vecchie e nuove utopie”, alla presenza della Rettrice Aurelia Sole e del Presidente dell’Istituto per gli Studi Filosofici – Scuola di Potenza, Ennio Ielpo. Dopo aver distinto tra utopia del desiderio, come quella presentata da Ovidio nel mito dell’età dell’oro, e utopia della società ideale, di cui il primo rappresentante è Platone, accomunato a Tommaso Moro, perché entrambi non proiettano la loro società ideale nel futuro, la filosofa ungherese ha specificato che le utopie orientate al futuro si sviluppano attraverso tre elementi: evoluzione, riforma e rivoluzione. Tutte le rivoluzioni dell’epoca moderna sono caratterizzate dalla figura di un leader, che viene considerato come un redentore. L’ultima in ordine di tempo è quella cubana, con la forte personalità di Fidel Castro.

L’interrogativo che si pone a questo punto è perché l’utopia ai nostri giorni sia stata superata e soppiantata dalla distopia. A partire dalla Rivoluzione Francese, con Napoleone Bonaparte, il tradimento delle rivoluzioni ha portato alla delusione per il sogno dell’utopia. Ma la morte dell’utopia si registra nel totalitarismo, che spinge alla distopia, perché i totalitarismi conducono il concetto del male assoluto, dove non può esserci utopia. Fedele all’assunto che i filosofi non offrono soluzioni, ma illuminano le contraddizioni, la conclusione a cui giunge la filosofa ungherese è che sia un bene che non si pensi più in maniera utopica, perché bisogna prendersi le responsabilità del presente. Al contrario la distopia vale come monito e avvertimento su dove porteranno le nostre azioni. La riflessione su “Bellezza e immaginazione” è stata invece al centro dell’incontro del 17 marzo presso il Liceo Classico “Orazio Flacco” di Potenza, nel quale Agnes Heller ha dialogato sul tema con Riccardo Mazzeo, editor traduttore e coautore di diversi volumi con i più eminenti intellettuali dei nostri tempi.

“La bellezza (non) ci salverà” è il titolo di un volume a quattro mani scritto dalla Heller insieme al sociologo Zygmunt Bauman, ed è anche l’assunto da cui è partita la filosofa ungherese nella sua lezione, poiché – ha spiegato - la salvezza è un concetto religioso e non filosofico. La bellezza è una promessa di felicità, democratica, che dipende strettamente dall’esperienza del bello, che è un atto contemplativo, che tutti possono compiere e che rappresenta l’afflato alla felicità. Nel suo intervento, la Heller ha descritto la tripartizione del concetto di bello: dell’essere umano, dell’arte e della natura.

La bellezza legata alla persona è antica quanto l’uomo. Prova ne è la cosmesi che appartiene a tutte le società, a partire dalle più antiche. La bellezza della natura si sviluppa con le scienze naturali, e in arte è rappresentata dai paesaggisti. I filosofi hanno sempre sostenuto che è bello ciò che amiamo. Dall’amore nasce il presupposto dell’associazione tra bello e buono, che conduce all’idealizzazione della bellezza. Nelle società antiche il consenso tra il bello e il buono era molto forte, ma nelle società moderne è andato perso. Sono gli Illuministi a porre per primi il concetto del bello come categoria interiore e individuale, e a dissociare il bello dal buono. Nasce così la questione di come si possa classificare il bello, se non esiste una bellezza universale. L’espediente è rintracciare un gruppo di persone che possano esprimere giudizi sul bello ad altri, che sono privi dei requisiti culturali per giudicare la bellezza. Queste persone detengono il compito di indicare delle norme riguardo al bello.

Nella nostra epoca, che Agnes Heller ha definito postmoderna, non c’è più alcuna autorità normativa sulla bellezza. L’opinione di ciascuno è valida. Questa situazione ha creato un paradosso: da un lato i gusti di tutti indistintamente hanno piena validità, dall’altro siamo bombardati da standard di bellezza. L’analisi sul bello di Agnes Heller è stata accompagnata dalle sollecitazioni di Riccardo Mazzeo, che ha ricordato come il concetto di bellezza sia ambiguo, legato alle mode e sublimato con l’arte. Passando in rassegna alcuni esempi letterari di come la bellezza sia prima stata identificata con il bene, poi con il male, Mazzeo è arrivato fino alla descrizione dei giorni nostri, in cui il bello viene a identificarsi con l’uguale. Ai giovani presenti, Mazzeo ha rivolto l’invito a riflettere su un simile concetto di bello, e a ricostruire un’idea di Bellezza che sia invece carica di senso. Con il peso dell’esistenza e della storia che porta su di sé, Agnes Heller è stata capace, durante le sue lezioni lucane, di seminare prospettive, visioni e percezioni , mostrando la fecondità che scaturisce dalla condivisione di momenti di riflessione, da cui si dipanano analisi e percorsi teoretici, nei quali la Filosofia espleta il suo compito principale, sintetizzato nell’assunto mutuato da Lucàcs, ossia quello di essere interprete del presente.