Intervista a Pino D'Isola, una lunga carriera di successi


Abbiamo il piacere di pubblicare l'intervista a Pino D'Isola, al secolo Giuseppe Maiolo, nato negli anni 60 a Isola Capo Rizzuto (KR) dove esordisce come autore, batterista e cantante del gruppo da lui formato i “The Lovers”. Lascia la sua terra per trasferirsi a Milano nel 1966, luogo che lo ha permesso di esprimere il suo talento e collezionare tante esperienze. 

“Ciao Pino, grazie per esserci oggi. Mi piacerebbe farti qualche domanda leggera per conoscere meglio te e la tua musica. Il tuo vero cognome è Maiolo; vuoi spiegarmi come è nato il tuo nome d’arte?” “…e da allora tu cambiasti cognome, almeno nelle serate…”

La scelta del mio nome d’arte avvenne per caso. Lavoravo in un negozio di merceria all’ingrosso a Crotone. Avevo un collega che si chiamava anche lui Pino. Ogni volta che qualcuno ci chiamava per nome non si capiva a chi ci si stava riferendo. Così per distinguerci l’uno dall’altro iniziarono a chiamarmi “Pinu i l’Isula”, cioè Pino di Isola. Decisi, allora di seguire la moda in voga tra i cantanti degli anni Sessanta come Peppino di Capri o Nicola di Bari e adottai il nome d’arte Pino d’Isola che depositai alla S.I.A.E. quando feci gli esami di cantante, autore e compositore. Questo cambio di nome segnò l’inizio di una quasi netta divisione di quella che era allora la mia vita che andava dalle rotaie del tram al palco. In quel periodo, infatti, io facevo il tranviere. Il lavoro del “manetta”, come venivano allora chiamati i conducenti dei tram milanesi, era ovviamente organizzato in turni, diurni e notturni, che si alternavano durante tutta la settimana, sabato e domenica compresi. Le mie serate di cantante si svolgevano di solito nel fine settimana e anche se io facevo in modo di farle quando non interferivano con i miei turni lavorativi non volevo che, s per caso qualcuno dei colleghi in una di queste serate mi avesse riconosciuto, pensasse che per cantare mi assentassi dal mio lavoro sul tram magari prendendo dei giorni di malattia. Ricordo con affetto quegli anni da tranviere anche se sono stati molto duri. Capitava, a volte che, tolta la divisa da tranviere dovessi velocemente indossare i vestiti da cantante per andare a fare la mia esibizione. Di questo periodo mi ricordo un episodio buffo che mi capitò alla stazione di Porta Garibaldi. Alla fermata salì sul mio tram una signora che, riconoscendomi, mi chiese se fossi Pino d’Isola. Quando le risposi di sì, mi chiese se facessi anche il tranviere e alla mia seconda risposta affermativa rimase un attimo interdetta perché la sera prima mi aveva visto in un programma televisivo di Walter Chiari.


“Come ti definiresti, allora, come interprete di canzoni?”
Mi ritrovo molto nella definizione di cantante confidenziale, nel senso che, quando canto canzoni, sia lente che ritmate, cerco di esprimere emozioni con uno stile caldo ed emotivo. Questo mio modo di esprimermi penso sia venuto fuori in una precisa serata degli inizi anni Sessanta. Siamo al mio paese nativo Isola di Capo Rizzuto. Io suonavo, con il mio gruppo di allora, in qualche matrimonio o in qualche serata a Capo Rizzuto, frazione sul mare di Isola. Un gruppo ragazzi nella zona era riuscito a realizzare, una serie di piccole rotonde da ballo tra gli scogli (le rotonde sul mare tanto di moda negli anni 60) che con l’aggiunta di una piccola costruzione in legno dove si vendevano bevande e consumazioni varie, erano diventate una vera e propria discoteca all’aperto sul mare: il Big Bamboo. Non so dove questi ragazzi avessero racimolando i soldi ma alla serata di inaugurazione riuscirono ad avere come ospite d’onore il grande Fred Bongusto. Suonammo anche noi, ovviamente gratis. Fred arrivò con il suo pianista e per circa un’ora cantò le sue canzoni più famose “Una rotonda sul mare”, “Frida”, “L’amore è una cosa meravigliosa”, “La ragazza di Ipanema”. Io restai incantato ad ascoltarlo. È un’emozione ch sento ancora oggi quando canto le sue canzoni, e che mi ha portato a dedicargli nel 1987 una canzone che si trova nel mio terzo LP intitolato “La mia musica (con un po’ di ''buon...gusto”)”.

“Come componevi le tue canzoni? Con la chitarra?”

“Sì, dopo più di sessant’anni mi rivedo ancora con la chitarra di mio padre in mano a cercare gli accordi di una canzone dei Beatles, mi sembra fosse la canzone “Michelle”. Conoscevo solo il giro armonico di Do e non riuscivo a trovare gli accordi giusti. Per fortuna mi venne in aiuto mio padre che mi diede le prime dritte su come accompagnarmi nel canto insegnandomi nuove combinazioni di accordi. Si può dire che da Michelle in poi iniziò la mia avventura musicale che mi fece arrivare dopo molti anni alle serate prima nei night e poi nelle sale da ballo di Milano. Si cantava sempre di rotonde sul mare anche se era inverno; fuori c’era la nebbia ma in sala che swing!


“Ma che cos’è lo swing, spiegamelo, Pino…”
Non è facile spiegare lo swing: è una musica che ti prende dentro; mentre la ascolti o lo stai cantando cominci a muoverti a tempo. Quasi senza rendertene conto ti dondoli mentre la tua mano tiene il ritmo schioccando le dita; è il cuore che canta. Questa musica arrivava dagli Stati Uniti e le canzoni erano in inglese; io le cantavo inventando dei testi in italiano. Cantavo ad esempio: “Feeling, dolce melodia, porta nella strada del mio cuore…” In quel periodo tanti cantanti italiani facevano questa cosa. Mi ricordo, per esempio, “Castelli di sabbia” (titolo originale “The shadow of your smile”) cantata da Emilio Pericoli o “Nessuno al mondo” portata al successo da Peppino di Capri. Io cantavo “E se qualcuno si innamorerà di me” versione italiana di “La playa” e “Ti senti sola stasera” rifacimento italiano della canzone di Elvis Presley “Are you lonesome tonight”. Di Elvis imitai lo stile parlato nella mia canzone “Sabrina”.


“Ma allora tu non cantavi in inglese?

“Come potevo! Non conoscevo l’inglese e non avrei mai potuto imbrogliare il mio pubblico. Lo feci una sola volta cercando di cantare Michelle; non sapevo neanche cosa stessi blaterando. Fu imbarazzantissimo e giurai di non farlo mai più. Piuttosto, pur di cantare canzoni straniere che mi piacevano come melodia, come ho già detto, mi inventavo un testo che spesso non aveva niente a che fare con il significato della canzone originale. La cosa che mi rende orgoglioso è che, pur non sapendo una parola di inglese, avendo adattato testi inglesi in italiano il mio nome è stato inserito, in ordine alfabetico, in dizionari e almanacchi dopo nomi di artisti quali i Pink Floyd.


 


“Già... e adesso? Dove è finito lo swing? “

Sono rimasti in pochi a farlo. Mi vengono in mente Michael Bublè, Tony Hadley, voce degli Spandau Ballet; in Italia ricordo Sergio Caputo, il duo Stefano Di Battista e Nicky Nicolai. Sicuramente ce ne saranno altri che purtroppo non conosco.


“E allora dopo lo swing arriviamo al liscio…”
Il liscio è meraviglioso. Purtroppo, ancora oggi, alcuni sapientoni o critici musicali parlano del liscio in maniera snob come se non facesse parte dell’universo musicale. Pensano che basti una fisarmonica e una chitarra ed è tutto lì. Anch’io in parte, grazie alla mia prima vera orchestra “I FOLK 2000” ho scoperto un mondo affascinante fatto da molti seri professionisti. I musicisti del liscio di allora (e pure dei giorni nostri) erano dei grandi professionisti preparati. In Romagna basti pensare ai vari Casadei o i Bagutti (solo per citare due delle più importanti orchestre), che hanno fino a venti elementi al seguito. Il liscio è gioia! Guarda i cantanti come si vestono, come sono brillanti e come sono sempre sorridenti. Al contrario certi cantanti oggi sembrano quasi tutti tristi o arrabbiati con la vita! …Il liscio è vita. C’è da dire anche che il Covid ha prodotto grossi danni anche in questo settore a causa delle limitazioni giustamente applicate a suo tempo. Purtroppo, nonostante quel periodo poco felice sia alle spalle, vedo tante sale da ballo ancora chiuse e molte piccole orchestrine non hanno più ripreso a lavorare come prima.

“Ma il liscio si può anche ascoltare senza i cantanti…”

Certo, mi ricordo che il mio primo gruppo, FOLK 2000, quando li ho conosciuti, facevano spettacoli senza cantante; la voce era sostituita dalla fisarmonica, dal sassofono o dal clarinetto. Al pubblico interessava ballare più che ascoltare canzoni e le musiche erano le mazurche, i valzer, i Paso Doble, i Tango, i valzer lento o i Fox Trot. Successivamente, con l’arrivo delle scuole da ballo, iniziarono i balli di gruppo come El Meneito, anche se in sala potevi trovare anche la coppia che avrebbe avuto piacere di ascoltare qualche canzone come “Il cielo in una stanza”. A parte rare eccezioni, anche le orchestre di liscio cominciarono a proporre i lenti con i terzinati e così da far nascere il cosiddetto “ballo della mattonella”. Poi grazie al grande Peppino di Capri, arrivò il twist ed altri balli più moderni già presenti all’estero. Ricordo il cantautore Edoardo Vianello che ogni anno incideva i suoi tormentoni estivi come “Sei diventata nera”, “I watussi” o “Guarda come dondolo”.


“Ed oggi?”

Oggi i talent show hanno uniformato un po’ tutto. I ragazzi di oggi hanno tante possibilità sia di studiare che di usare mezzi tecnici. Tanti sono bravi altri meno. A differenza di prima è più facile arrivare ad avere visibilità ma è altrettanto facile cadere nel dimenticatoio. A mio modesto parere i cantanti di una volta se arrivavano ad avere successo era perché avevano talento vero e spesso erano semplicemente autodidatti. Carosone è diventato Carosone perché come pianista si distingueva dagli altri; era un musicista che ti leggeva uno spartito come fosse una lettera stampata. E poi, permettermi di dire che alcuni di loro hanno certi nomi d’arte improponibili… tipo marche di qualche prodotto da supermercato. Comunque, indipendentemente dalle opinioni personali, quello che è importante è che ogni genere musicale, dal liscio all’operetta, trovi il suo spazio di espressione e, come diceva il grande Totò: ”Viva la mosica”.


“E tua moglie che dice? È sempre stata la tua prima fan…”

Mia moglie non è solo stata la mia prima fan ma anche la persona che si è cuccata ore e ore di prove durante le quali le toccava sentire le infinite ripetizioni di accordi, strofe e ritornelli vari che insieme a mio figlio Rino facevamo quando preparavamo i nostri spettacoli o perfezionavamo le canzoni. Spesso scherzando ci diceva: “quando me la fate ascoltare una canzone per intero?”. Per fortuna quando abbiamo cambiato casa e ho potuto crearmi un piccolo studio in taverna le cose per lei sono migliorate. Comunque credo sia orgogliosa quando sente qualcuno che fa i complimenti a me o a Rino per la nostra musica A lei ho dedicato la mia canzone “Domani è un altro giorno”.

“Ma quante canzoni hai scritto?”

Circa seicento così divise: 200 con testo in italiano in collaborazione di altri amici autori e compositori; 200 solo musica da ballo o d’ascolto; 80 canzoni in dialetto milanese; 25 in vari dialetti tra romano, napoletano e calabrese ma ne ho circa 130 da rivedere ed eventualmente da depositare alla S.I.A.E.


“…già, la S.I.A.E Come vive oggi un musicista? Con i diritti d’autore?”

Un tempo il musicista, o il cantante, si recava in Galleria del Corso a Milano dove c’erano quasi tutte le case editrici che mettevano a disposizione per gli addetti ai lavori, e gratuitamente, gli spartiti delle canzoni. E tu sceglievi quello che ritenevi più interessante. Mi ricordo che, in una di queste, ebbi la fortuna di incontrare l’editore Maurizio Corechà delle edizioni Caramba (lo stesso editore di Fred Bongusto). Gli confidai che amavo cantare le canzoni di Fred e poco dopo, mi ripresentai da lui facendogli ascoltare un medley di canzoni di Fred preparato con gli arrangiamenti di Rino. Entusiasta mi disse che se avessi avuto delle canzoni mie di questo genere, me le avrebbe pubblicate. Scelsi dodici canzoni e gliele proposi: gli piacquero molto e così iniziò la nostra prima collaborazione. Per me fu un sogno: iniziai ad avere un importante editore con cui nacque il mio terzo LP “La mia musica (con un po’ di bon...gusto)”, una sorta di omaggio sia a Fred che all’editore stesso. Tornando al discorso S.I.A.E., oggigiorno, i diritti derivanti da questa associazione, per noi compositori sono veramente miseri; i guadagni più consistenti derivano solo dagli spettacoli; l’avvento degli mp3 ha minimizzato l’acquisto di CD i diritti derivanti dalla vendita.


“Già, oggi restano solo le serate per mantenersi. Come si chiamava il più famoso ritrovo di tutti e dove ti esibivi? Il Ragno d’Oro se non sbaglio…

Eh, ci andai tante volte al Ragno D’Oro… la prima volta fu con la mia orchestra “I FOLK 2000” quando si festeggiò la vittoria del nuovo sindaco di Milano, Paolo Pillitteri. Fu una grande festa con tanti politici e numerosi ospiti del mondo della musica; ricordo una bellissima scenografia con palloncini colorati da far invidia alle convention americane. Tra gli ospiti c’erano la grande Wilma de Angelis, il fisarmonicista Gamberini, Ezio Greggio, l’imitatore Alfredo Papa e i Nuovi Angeli. La serata finì con tanti balli tra i presenti. Al Ragno d’oro ci ritornai più di una volta per bellissime serate danzanti assieme al mio tastierista Toni, e successivamente fu il locale che vide il debutto ufficiale del duo PINO D’ISOLA & RINO. Una serata organizzata dalla LEGA DELLE CASALINGHE del comune di Milano (Dipartimento Problemi Sociali) in cui fui premiato dall’Assessore provinciale Francesco Zaccaria per una canzone scritta con Giuliano Taddei, “DONNA AMORE”. Purtroppo, dopo un po’ di tempo il Ragno d’oro, fiore all’occhiello di Milano ed elegantissimo locale, venne chiuso diventando il CRAL dell’ATM. Lì si organizzavano anche serate da ballo per i tranvieri. Oggi è un centro benessere e di quella bellissima sala da ballo non è rimasto più niente


“Grazie Pino per la tua autenticità e la tua musica che emana emozioni potenti. In bocca al lupo per tutto ciò che verrà, siamo certi che il tuo talento continuerà a brillare”.

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