"Trent'anni di università in Basilicata"

POTENZA. "Trenta anni, esattamente trenta gli anni trascorsi dalla fondazione dell’Università di Basilicata, un periodo breve rispetto ad altri atenei italiani, ma per la velocità del mondo contemporaneo non sono poca cosa. Un anniversario che merita una seria e profonda riflessione sia nel mondo intelletuale e culturale ma anche in quello della politica. L’Ateneo Lucano fu fortemente voluto dal primo Presidente della Basilicata Vincenzo Verrastro e fu un’intuizione ed una scelta precisa: la Lucania non poteva non avere una sua università. Ma dopo un trentennio quali sono gli scenari? Come ha inciso sulla comunità, sul mondo della cultura, delle professioni e dell’economia. Sono riflessioni da fare e da approfondire con lucidità e senza preconcetti, mettendo anche in dubbio se l’Ateneo – faccio un paradosso- non abbia più ragione di esistere. Domande ed interrogativi spontanei: è servita seriamente un’università lucana?
Agli impiegati amministrativi di certo, considerato l’ipertrofia burocratica dell’Unibas, qui ha preso tutti i vizi della pubblica amministrazione lucana. Attualmente l’università dispone di 8 facoltà e 35 corsi di laurea, oltre 7 mila studenti iscritti e 323 professori oltre ad altrettanti impiegati. La sua positività la riscontriamo nell’aver permesso a tanti giovani l’accesso, la possibilità di poter continuare gli studi accademici, senza retorica e senza demagogia, tanti giovani non avrebbero potuto studiare e prendere una laurea.
Contemporaneamente l’Unibas è diventata un super Liceo, una continuazione su contenuti culturali più approfonditi di una scuola superiore, il dato oggettivo che in questi anni l’ateneo non è stato attrattivo verso gli studenti di altre regioni e non sta diventando attrattiva per gli stessi giovani lucani. Allora il problema si pone, e la politica ne deve discutere dato che l’UNIBAS è finanziata con denaro regionale per circa 10 milioni di euro annui, più altre voci di finanziamento per studi e ricerche. Non dobbiamo dimenticare questo. Gli interrogativi arrivano, fino a pensare se abbia ancora ragione di esistere l’ateneo; può apparire troppo forte la conclusione però dobbiamo interrogarci se ha inciso sulla società lucana, sulla cultura, sull’economia, sull’occupazione, sullo sviluppo dell’impresa e dell’agricoltura?
Come sarebbe la Basilicata se la sua università non fosse mai nata? Più povera di giovani eccellenze, più povera nel mondo delle professioni o nella vivacità culturale? Oppure i finanziamenti pubblici sarebbero stati più utili verso altre attività come una formazione professionale seria e concreta su figure richieste dal mercato, tanto per fare un esempio.
Ma arriva anche una riflessione: che da un’ottima e grande intuizione poi nel corso degli anni abbiano affievolito il ruolo e l’attività dell’ateneo. Un ateneo che sembra scollegato con la realtà sociale ed economica della Lucania, un Ateneo forse poco considerato dallo stesso mondo accademico, un Ateno visto o come trapolino di lancio o come salvagente dagli stessi professori. Forse riflessioni dure ma che vanno affrontate, partendo da un dato oggettivo: ossia che la Basilicata è la regione che ha il più alto indice in Italia di studenti universitari emigranti. Ogni anno quasi 2500 giovani lucani si iscrivono fuori della regione, molti di questi per iscriversi a facoltà non esistenti in regione. Un’emigrazione di cervelli con conseguenza di un costo sociale quale il temporaneo se non definitivo impoverimento demografico e un costo oggettivo per le famiglie a mantenere agli studi i laureandi. Altro tema di riflessione che è connesso con la tipologia della didattica offerta.
Nessuna intenzione di far classificazioni su corsi di laurea buoni o brutti, da attivare o da disattivare; certo è che la connessione tra la realtà lucana nelle sue complessità sociali ed economica poteva anche essere affrontata dall’UNIBAS, con corsi e specializzazioni direttamente legate alle varie economie presenti dal petrolio, alle energie rinnovabili, dal turismo al settore automobilistico, dalla pubblica amministrazione a settori specifici dell'agricoltura e agro alimentare.
Certo la riforma degli atenei più recente ha condizionato alcune scelte, ma anche quando determinate limitazioni non c’erano, non sono mai nate le grandi facoltà, quelle che richiamano un gran numero di iscritti, giurisprudenza e medicina in testa a tutte.
Ma tanti interrogativi nascono spontanei. Perché questa scelta, perché non tentare di puntare su facoltà numerose per contrastare il fenomeno dello spopolamento e quello degli studenti lucani che sono costretti ad andare via?
I professori che vengono nell’Università lucana solo per pochi giorni la settimana, per poi tornare nelle città dove esercitano la loro professione sono ancora tantissimi, a svantaggio degli studenti ma soprattutto del panorama culturale della città.
Quali sono le ricadute economiche cui la presenza dell’università ha portato?
Il tasso di disoccupazione nella nostra regione è sostanzialmente rimasto immutato, uno dei più alti d’Italia.
Quanto si è sviluppata la ricerca grazie alla presenza delle facoltà scientifiche, informatica compresa, da poter aiutare nel know-how gli start up o l’innovazione nelle imprese. La stessa facoltà di economia non ha corsi di laurea specialistica, che oltre ad obbligare gli studenti a trasferirsi fuori sede dopo i primi due anni, ha perso l’occasione di corsi calibrati per la nostra realtà. Eppure il saldo tra imprese che nascono e quelle che muoiono continua sempre ad essere negativo, e mi azzardo a dire dove sono i brevetti, le innovazioni che naturalmente dovrebbero essere la conseguenza di un polo scientifico universitario. E gli interrogativi, le perplessità, i dubbi aumentano pur nella consapevolezza che un’Università Lucana è un patrimonio sociale oltre che del sapere.
Quali sono i risultati conseguiti nell’agricoltura grazie alla presenza di facoltà specifiche del settore? E che prospettive anche di ricerca nel campo farmaceutico, di programmi ed applicazioni innovative per gli informatici ecc. ecc.
Allora si rafforzerebbe il paradosso che la Basilicata forse avrebbe giovato a non avere una sua università ma Vincenzo Verrastro guardava lontano ma con gli occhi di un grande amministratore vissuto in un’epoca dove l’istituzione universitaria era considerata un tempio del sapere. La conseguenza logica e politica è che sia mal gestita, ne sono sicuro e punto l’indice sulla governace dello stesso ateneo anche nella gestione degli immobili, infatti, l’università dispone ancora oggi di strutture, soprattutto nel capoluogo, nate già abbandonate, decine di serre, container, e fabbricati, abbandonati, compreso uno scheletro comprato e mai completato.
Adesso chi gestisce l’università riceve anche un contributo di 10 milioni di euro dalla Regione, un motivo in più per rendere pubblico l’utilizzo di questi soldi e soprattutto i risultati raggiunti. L’ARDSU continua a collezionare insuccessi, soprattutto per la realizzazione di appartamenti per gli studenti nel capoluogo, per non parlare dei problemi degli alloggi anche nella sede di Matera. Che fare allora? Continuare nella mediocrità con la falsa riga delle occasioni perse di quella che doveva essere una delle risorse più importanti per lo sviluppo culturale ed economico dell’intera regione, continuando a rappresentare solo un postificio per aumentare il consenso dei soliti quattro politici di centrosinistra e qualche manciata a chi resta? Qui il duplice volto della politica: a quella spicciola di rimanere fuori e non pressare più per prebende e posti, a quella buona invece di iniziare a ripensare un futuro per l’UNIBAS, come “potere pubblico” ne abbiamo il dovere morale, in caso contrario ammettiamolo: l’UNIBAS come polo di cultura non serve e va eliminato, tanto la Lucania non ha bisogno di un Magnifico Rettore e di qualche docente universitario e sopratutto non ha bisogno dei tanti impiegati amministrativi senza concorso". A riferirlo il consigliere lucano del Pdl Gianni Rosa.