Petrolio, Aiab: 'Noi siamo Lucani'


POTENZA - Era in corso la mietitura del grano e ci è sembrata una bomba d’acqua, di quelle capaci di distruggere i raccolti: la notizia dell’accordo stipulato, a livello nazionale prima, ed in Basilicata, poi, tra Coldiretti ed ENI, rispettivamente la più grande organizzazione professionale agricola e la più grande compagnia petrolifera multinazionale d’Italia, ha dell’incredibile.

Al di là dei proclami su economia circolare, produzione di energia, da fonti rinnovabili, compatibilità tra industria petrolifera e agricoltura, produzione agricola sostenibile, l’accordo prevede, concretamente, a livello nazionale, la collaborazione per la produzione industriale di energia, da materie di origine agricola e, a livello regionale, la promozione di prodotti agricoli, di qualità, del territorio, da identificare con il marchio “Io sono Lucano”.

Trattandosi di un accordo, la cui portata è di interesse pubblico, poiché interessa l’agricoltura, all’energia, al territorio, riteniamo sia necessario un dibattito che interessi l’intera comunità, in cui ad esprimersi dovranno essere tutti i portatori di interessi.

La discussione, sull’accordo tra agricoltori e petrolieri, non può non tener conto degli impatti prodotti dall’industria petrolifera sull’agricoltura in Basilicata in oltre venti anni di attività sul territorio.

Occorre tener presente che l’industria petrolifera è arrivata ad estrarre in Basilicata, circa, l’ottanta per cento della produzione annuale nazionale, di greggio ed tale estrazione interessa, considerando le superfici soggette a concessioni di estrazione, permessi di ricerca e nuove istanze di ricerca, oltre la metà del territorio regionale. Le strutture e gli impianti di un tale apparato industriale, sono situati in pieno territorio rurale, a stretto contatto con terreni agricoli, fonti e riserve d’acqua, ad uso potabile e irriguo, inevitabilmente sottoposti perciò ad un rilevante rischio di inquinamento.

Il Centro Olii Val d’Agri (COVA) di ENI, per esempio, sorge in contrada Vigne di Viggiano, a due km dalla Diga del Pertusillo, invaso capace di contenere oltre cento milioni di metri cubi di acqua destinata ad uso potabile e irriguo, che serve circa trentacinquemila ettari di terreni agricoli tra Puglia e Basilicata.

E’ possibile documentare numerosi casi di inquinamento da idrocarburi, di terreni ed acque ad uso agricolo. Potremmo citare le continue e allarmanti denunce di associazioni e comitati di cittadini/e, per esempio, sull’inquinamento delle acque del Pertusillo o delle polle emergenti dai pascoli di contrada La Rossa di Montemurro, coltivati in maniera biologica o dei pozzi freatici una volta destinati ad abbeverare gli animali in agro di Corleto Perticara. Basti far riferimento alle ordinanze sindacali di interdizione all’uso agricolo, di terreni ed acque, emanate da Autorità pubbliche (per esempio i Comuni di Grumento Nova e Corleto Perticara). Basti rifarsi alle notizie di dominio pubblico relative a inchieste e processi intentati dalla Magistratura, (per esempio il processo PETROLGATE in corso a Potenza) a carico di funzionari delle compagnie petrolifere, con capi di accusa che vanno dallo smaltimento illecito di rifiuti pericolosi (come nel caso delle acque di scarto insufflate nel pozzo di reiniezione di Costa Molina, nei pressi di Contrada la Rossa appunto) o di disastro ambientale (per la “perdita” di centinaia di tonnellate di petrolio dai serbatoi del COVA, scoperta nel 2017).

Insomma, ci sono molti buoni motivi per ritenere non credibile un progetto quale quello che propone un marchio di garanzia della qualità di produzioni agro alimentari lucane come “Io sono Lucano”, che affida ai petrolieri il ruolo di garanti e di sponsor ed agli agricoltori il ruolo di beneficiari di finanziamenti dell’industria petrolifera e di testimonial della proclamata compatibilità tra petrolio e agricoltura.

Come pure, pare poco credibile, che vi siano benefici nel medio e lungo periodo per l’agricoltura e la collettività nell’alimentare la produzione industriale di energia, da biomasse. concentrata in grandi impianti industriali, di una multinazionale, che al di là dei proclami fonda in maniera crescente (!) il proprio business sugli idrocarburi nonostante gli Accordi di Parigi sul Clima del 2015 (vedasi “Enemy of the planet”, dossier su ENI pubblicato da Legambiente nel corrente mese). Piuttosto, la crisi climatica e la bomba demografica, consiglierebbero di preservare acque e suoli alla produzione di cibo o di destinare le biomasse agricole di scarto, alla micro produzione locale e diffusa di energia o al compostaggio, per la rigenerazione dell’humus, nei terreni, e la cattura di carbonio nel suolo e nei cicli biologici di produzione del cibo, come l’agricoltura biologica insegna.

Riteniamo invece che sia interesse degli agricoltori e delle comunità locali chiedere come è nei loro diritti la bonifica dei suoli e delle acque inquinate dal petrolio, il monitoraggio pubblico,- indipendente - trasparente - competente dell’ambiente, della salute di cittadini/e e della catena alimentare, lo STOP senza se e senza ma a nuove estrazioni, la RICONVERSIONE reale e nel breve periodo dell’industria petrolifera.

Noi siamo Lucani e non vogliamo produrre e consumare prodotti agricoli ed alimentari sponsorizzati da compagnie petroliere. Così in una nota l'ufficio stampa di AIAB- Associazione Italiana Agricoltura Biologica Basilicata.